Dolore e psiche

Questo articolo è stato scritto dal Dottor Giampaolo Bonetti Psicologo-psicoterapeuta a indirizzo psicoanalitico, pubblicato sul n.1 di marzo 2013 della rivista RO REFLESSOLOGIA OGGI, trimestrale di cultura e tecniche del benessere.

 

Secondo lo IASP (International Association for the Study of Pain), il dolore è “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini da rappresentare un simile danno”.
Si riconoscono perciò una parte percettiva, le componenti nervose che rilevano e trasmettono lo stimolo doloroso, e una parte psichica, che lo interpreta e lo elabora a livello cerebrale. C’è poi un dolore che possiamo definire puramente psichico senza danno organico, ed è il dolore mentale ad esempio per un lutto o il dolore mentale che accompagna le conseguenze di un danno fisico. Possiamo dire che l’esperienza del dolore è piuttosto individuale e viene influenzata da molte variabili soggettive come le caratteristiche di personalità, la storia e i vissuti personali, i fattori socioculturali. I modi della sapienza popolare di definire il dolore, soprattutto psichico, espressioni come “un dolore che mi spezza, trafigge il cuore; questo dolore mi sconvolge la mente, mi fa uscire di senno” ecc. sono una chiara espressione di come il dolore venga vissuto contemporaneamente nel corpo e nella mente non solo a livello percettivo ma anche fantasmatico, possa cioè produrre rappresentazioni mentali e metafore che però si possono riverberare sul corpo.

L’esperienza del dolore, sia fisico che psichico, fa parte dell’esperienza normale della vita, eppure noi cerchiamo sempre di sfuggirlo, ne abbiamo paura, molta parte della vita psichica è un tentativo continuo di esorcizzare il dolore. Il dolore fisico ci confronta continuamente con i nostri limiti umani, mette a nudo la nostra impotenza, la nostra vulnerabilità, la nostra piccolezza: diventa anche dolore psichico. L’allungamento della durata della vita con il problema che si presenta sempre più della cronicità cui spesso si associa una sintomatologia algica impone una visione nuova del rapporto medico-paziente che tenga conto non solo del dolore fisico ma anche delle sue ripercussioni psichiche e del dolore psichico e delle sue ripercussioni sul corpo. L’esperienza del dolore è sempre fisica ed emozionale insieme e spesso ci costringe a riflettere sul senso della nostra vita, secondo l’intensità e la durata tende a portare dei cambiamenti che possono andare in due direzioni opposte: alcune persone escono migliorate dall’esperienza del dolore altre ne escono incattivite, rancorose, con una ricerca di risarcimento legata anche all’invidia. La strada scelta dipende in larga misura da fattori soggettivi quali la propria storia personale, ma anche da quanto c’è stato un aiuto psicologico, che si può attuare in varie forme, non necessariamente attraverso il lavoro con uno psicologo, ma che può essere determinante per la qualità della vita della persona e per la sua possibilità di elaborare e mentallizzare il dolore. Occorre che il curante sappia cogliere non solo i bisogni fisici ma anche i bisogni psicologici soprattutto del paziente con dolore cronico. E’ oggi consapevolezza comune che una buona gestione anche psicologica del dolore aiuta il recupero ed evita certe cronicizzazioni inspiegabili sul piano strettamente medico.

Due possono essere i tipi di reazioni che fanno seguito al dolore della persona. Ci possono essere disturbi del sonno accompagnati da ansie varie fino alla depressione, con sentimenti di impotenza e disagio; queste reazioni si risolvono quando si risolve il problema del dolore. Ci sono invece persone, poche per fortuna, nelle quali si può facilmente trovare una correlazione temporale tra l’insorgenza o il riacutizzarsi del dolore fisico e un evento psichico traumatico come un grave lutto che non è possibile alla persona di rielaborare (vedremo il significato della parola lutto). In questi casi il quadro doloroso tende a mantenersi anche quando non si trova più nessuna obbiettività clinica. Serve un intervento psicologico specifico.

Quanddo un dolore fisico ci porta a cambiare, anche di poco, i nostri progetti di vita o ci rivela, a volte in modo brutale, che non sarà mai come prima, che la normalità della nostra vita è costretta a ricercare un novo equilibrio che ridia un senso, necessariamente diverso ma non meno valido, a ciò che siamo e che facciamo. Questo a patto di non lasciarci distruggere dal dolore, fisico o psichico che sia, qui i due aspetti del dolore tendono a coincidere. Altrimenti, se ci si lascia annientare dal dolore, alcol, dipendenze varie e crollo nella malattia mentale sono sempre in agguato.
L’aiuto dell’altro è necessario ma, lo sappiamo, è spesso molto relativo. C’è un ostacolo non sempre facile da superare tra chi soffre e chi pensa di aiutare a sopportare il dolore, di qualunque natura sia. A volte le parole che si pensano consolatorie irritano chi soffre, soprattutto se c’è rabbia dentro di lui, più che alleviare il dolore, eppure si cerca, si sente il bisogno della presenza di un altro essere umano di cui ci si fida perchè sperimentare il dolore è un’esperienza umana condivisa e condivisibile. E’ importante, per il curante, per il curante chiunque esso sia come per l’amico, sostenere nella cronicità e nella sofferenza, la qualità della vita.

C’è poi il dolore puramente psichico, ma che si esprime spesso anche attraverso il dolore del corpo e si manifesta con gli atteggiamenti e l’espressione del viso: è il dolore del lutto. Si intende per “lutto” la perdita o la separazione da un “oggetto” che sia particolarmente significativo per la persona (oggetto è il termine usato dalla psicoanalisi per indicare persone, cose, ideali, attività, interessi, investimenti affettivi, parti o funzioni del proprio corpo che vengono perse per una qualche causa come malattie gravi o incidenti, fino alla diagnosi di una malattia che prevede la possibilità della morte ecc).
Quando questo dolore non viene accettato e elaborato, lascia tracce di sofferenza nella nostra mente che, seppure inconsciamente, influiscono sulle nostre scelte e sul nostro stile di vita. Ci sono persone che solo dopo anni possono permettersi di piangere una perdita, un trauma, subiti tanti anni prima, a volte durante l’infanzia. Quando il dolore è troppo forte e la mente non è in grado di tollerarlo, si tende a negarlo, a rifiutare di prendere coscienza della realtà che purtroppo non è o non è più quella che avremmo desiderato.

E’ la prima fase di elaborazione del lutto, la fase della negazione e del rifiuto di accettare la realtà che, almeno per un attimo, quasi tutti attraversiamo: ciò vale per la diagnosi di una malattia grave (“forse le analisi, la diagnosi sono sbagliate”), ma anche per la perdita di una persona cara o di un amore che nell’altra persona è finito. A volte questa fase si fissa raggiungendo livelli patologici, si cerca di dimenticare senza accettare nel profondo di sè ciò che è accaduto, si rimuove la realtà che però nella nostra mente rimane: non si dimentica mai veramente nulla.

C’è poi una fase di rabbia, a volte anche contro Dio: “perchè proprio a me?” evidente spesso nella reazione alla perdita di una persona cara o alla scoperta di una malattia con esiti prevedibili gravi.
Con la presa di coscienza della situazione segue una fase di depressione nella quale è forte il sentimento di impotenza e di sconfitta. Poi l’accettazione consapevole e profonda di quanto è avvenuto e/o di quanto dovrà accadere, con tutte le su implicazioni pratiche, inizia a sostituire la rabbia e la depressione che possono però ritornare a tratti anche se in forma meno acuta.
Sono fasi e non periodi, non vengono attraversate in modo lineare, ma possono alternarsi, ripresentarsi più volte finchè è in corso l’elaborazione del lutto, con diversa intensità e senza un preciso ordine, possono mescolarsi e sovrapporsi.
E’ sopratutto nella fase di depressione e dell’accettazione che una presenza aiuti, psicologo o persone particolarmente sensibili, è importante.

Quando queste fasi non vengono vissute in modo sano, ad esempio la fase della depressione non viene superata, ci possono essere delle ricadute proprio sul versante del corpo. Non è un mistero ad esempio che certe forme di depressione danneggiano il sistema immunitario e rendono quindi più facile ammalarsi o più difficoltoso il guarire.

Spesso dobbiamo rielaborare i nostri progetti di vita e i nostri ideali, tenendo conto che quella persona non c’è più, che quella parte del nostro corpo non funzionerà più come prima, che noi stessi non ci saremo più. Rabbia, dolore, chiusura in sè stessi, depressione sono sempre presenti anche se in misura sana e accettabile.

Molto dipende dai significati che una persona da all’evento, perdere la voce per un cantante o un docente è ben diverso che se la perde un altro lavoratore che non la usa nel suo lavoro.

Anche dal modo nel quale si affronta un lutto si può in qualche modo valutare la maturità emotiva di una persona.